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lunedì 25 febbraio 2008

FOSSILI

Pterodactylus - American Museum of Natural History - New York
Il termine fossile (dal latino fodere, scavare) in paleontologia abitualmente viene usato per indicare resti integri o parziali di organismi un tempo viventi, più in generale viene usato per una qualsiasi testimonianza di vita geologicamente passata (antecedente all'epoca attuale) quali uova, evidenze di attività' vitale (orme, tane, tracce legate all'alimentazione, coproliti ecc.).


Definizione generale
Calcare con fossili di bivalvi
Il processo di trasformazione di un organismo vivente in un fossile può durare diversi milioni di anni. La fossilizzazione è un processo estremamente improbabile. Infatti non appena gli animali o le piante muoiono ne inizia la decomposizione. Sebbene le parti più resistenti, come conchiglie, ossa e denti degli animali o il legno delle piante, resistano più a lungo dei tessuti molli, spesso questi elementi vengono disgregati da agenti naturali esterni (fisici e chimici), come vento e acqua corrente, ma anche dall'azione di animali necrofagi (agenti biologici).
Alcuni fossili possono essere considerati come una porzione di materia (e quindi di energia) imprigionata che, sfuggendo alla decomposizione e trasferendosi dalla biosfera alla litosfera, viene sottratta all'ecosistema del passato. Questa energia viene, ad esempio, sfruttata dall'uomo mediante l'impiego dei combustibili fossili (carbone e petrolio) nelle varie attività industriali.
Generalmente, per subire un processo completo di fossilizzazione, un organismo deve essere sepolto rapidamente, prima che ne subentri la decomposizione o venga aggredito dagli agenti demolitori. Nella maggior parte dei casi questo lavoro viene svolto dai sedimenti come la sabbia o il fango trasportati dall'acqua.Lo studio di tutti i processi che vanno dalla morte dell' organismo alla sua fossilizzazione è compito della Tafonomia, quel ramo della Paleontologia che cerca appunto di ripercorrere tutte le tappe che hanno contribuito alla formazione di un fossile.

Dove si rinvengono i fossili
I fossili si trovano dentro le:
Rocce sedimentarie diffusissime ovunque. In Italia sono molto ricche di fossili e vanno dal Paleozoico (550 milioni di anni fa) fino al Quaternario. Utili per la datazione delle rocce calcaree mesozoiche sono: ammoniti, belemniti, bivalvi, gasteropodi, brachiopodi, echinodermi, crinoidi, denti isolati di squalo e microfossili.
La datazione relativa eseguita con i fossili guida è di enorme importanza ed è servita alla definizione e alla caratterizzazione delle ere e dei periodi geologici.
Rocce eruttive o vulcaniche. In esse sono totalmente assenti i fossili tranne in alcuni casi speciali.

Datazione tramite i fossili
Il criterio di datazione dei fossili si basa sulla biostratigrafia, la quale afferma che, normalmente, gli strati più bassi del terreno sono più antichi di quelli superiori (principio geologico della sovrapposizione di Stenone, vedi evoluzione, prove paleontologiche). Utilizzando tale criterio si può confrontare un certo fossile con altri rinvenuti in strati di altre località per vedere se appartengono allo stesso tempo oppure no. Tale metodo si basa sui fossili guida, che sono caratterizzati dalla diversificazione e da rapida evoluzione. Con i metodi degli isotopi radioattivi e del carbonio 14 si può avere la datazione radiometrica, che misura l'età della roccia in anni, ma che risulta meno preciso del metodo della datazione relativa.

Fossili viventi

Esemplare di Celacanto pescato nell'Oceano Indiano

tavola illustrante foglie, fiori e frutti di Ginkgo biloba
Il termine fossile vivente fu coniato da Darwin per indicare particolari tipi di organismi, animali o vegetali, con caratteristiche morfologiche primitive e soggetti ad un processo evolutivo molto lento.
Molti di questi sono stati scoperti recentemente, perché prima erano ritenuti estinti. Ai fossili viventi appartengono tipologie diverse di organismi:
Organismi che sono gli unici rappresentanti viventi di gruppi estinti da tempo.
Un esempio è quello del pesce Latimeria chalumnae, pescato nel 1938, alle foci del Chalumna in Sud Africa. L'esemplare era lungo 1,50 m e pesava 57 kg, ed incuriosì a tal punto i pescatori, che lo mandarono imbalsamato al Museo di East London. La direttrice del Museo, la Dottoressa Marjorie Courtenay-Latimer, riconobbe in quell'esemplare le caratteristiche dei 'Crossopterigi Celacantiformi, pesci a pinne "muscolose" (Sarcopterygii) nati durante l'Era Paleozoica, 400 milioni di anni fa, e ritenuti estinti nella grande estinzione che eliminò anche i dinosauri.
Organismi che mantengono caratteri primitivi del gruppo che si è invece altamente differenziato.
Un esempio è l'Opossum, mammifero marsupiale che presenta caratteri molto simili ai suoi parenti del Cretaceo. Fra gli Artropodi possiamo ricordare il Limulo, praticamente identico alle forme fossili del Giurassico.
Organismi che rimangono immutati per un lungo intervallo di tempo.
Esempi classici sono il brachiopode Lingula dell'Ordoviciano, e il cefalopode Nautilus, invariato dal Triassico ad oggi, ritenuto estinto fino al 1829, quando per la prima volta ne venne osservato uno in vita. Anche gli Squali, comparsi nel Devoniano, circa 400 milioni di anni fa, si sono evoluti molto poco nel corso del tempo geologico, ma le loro caratteristiche li hanno resi immuni ai mutamenti geologici, climatici, biologici che li circondavano. Ancora oggi ne esistono moltissime specie, a dimostrazione dell'efficienza del loro modello strutturale.
Non mancano fossili viventi anche tra i vegetali, come il genere Ginkgo, (Gimnosperma) comparso nel Giurassico e arrivato ai giorni nostri con l'unica specie Ginkgo biloba senza modificazioni sostanziali.

Tipi di fossili
Vi sono quattro tipi fondamentali di fossili: resti originali, resti sostituiti, calchi, tracce.

Resti originali
Mammut esposto al Museo di San Pietroburgo, rinvenuto lungo il fiume Berezovka

Insetto fossilizzato in ambra
In alcuni casi, i fossili sono rappresentati da resti originali di piante o di animali. Corpi interi di mammut, l'enorme elefante diffuso in Europa nel periodo glaciale (era quaternaria), sono stati rinvenuti quasi perfettamente conservati sotto i ghiacci perenni della Siberia. Si pensa che questi animali siano rimasti prigionieri del permafrost, verso la fine dell'età glaciale, molte migliaia di anni fa. Perché morirono rimane ancora un mistero ma forse la specie si estinse per il profondo mutamento di clima avvenuto alla fine del Pleistocene quando le glaciazioni finirono.
Lungo le coste del mar Baltico, sono stati rinvenuti insetti, ragni e frammenti vegetali di migliaia di anni fa, perfettamente conservati entro la resina indurita dei pini, in cui questi insetti rimasero invischiati e ivi morirono. Questa resina fossile è detta ambra.
Altro esempio di fossile originale è dato dalle conchiglie dei molluschi che sono state conservate entro il sedimento e che a volte formano vere e proprie rocce composte esclusivamente da fossili, dette lumachelle.
Un altro tipo di resti originali può essere quello dei dintorni di Los Angeles in California, dove vi sono depositi di asfalto contenenti le ossa di migliaia di animali. Probabilmente, questi animali rimasero prigionieri mentre, in cerca di acqua, tentavano di attraversare i grandi laghi oleosi di asfalto. Attratti, forse, dalle loro grida di spavento e dagli sforzi da essi compiuti per sopravvivere, giunsero altri animali che fecero la medesima fine.

Resti sostituiti
Ammonite piritizzata

Un tronco pietrificato in Arizona
La maggior parte dei fossili non sono più costituiti da materiale originale, anche se ne hanno conservato l'aspetto primitivo. L'acqua del sottosuolo contiene in soluzione vari sali minerali e può sostituire le conchiglie (calcaree) e le ossa (fosfatiche) con altri minerali resistenti, come la silice o la pirite.
I famosissimi alberi pietrificati dell'Arizona sono un esempio di formazioni del genere. Essi si formarono quando le acque del sottosuolo sostituirono lentamente il legno in decomposizione di questi alberi con particelle di silice amorfa (opale).
A volte la trasformazione è così importante che, di tutto un organismo vegetale o (più raramente) animale rimane soltanto il carbonio organico.

Modelli e calchi
Oltre alle parti molli di un animale, talvolta anche le parti dure (conchiglie od ossa) si dissolvono completamente, lasciando nella roccia un'impronta che mostra solo quale era la forma del fossile.
Sui gusci si possono distinguere i modelli interni, che ripetono la forma della parte interna, ed i modelli esterni, con l'impronta della superficie esterna. Tra modello interno e modello esterno, quando il guscio originale è dissolto, si forma una cavità con la forma tridimensionale del guscio. Se tale cavità si riempie con nuove sostanze minerali, si ottiene il calco naturale o modello, cioè la riproduzione dell'originale. La composizione chimica e mineralogica del calco può essere simile a quella originaria, ma anche completamente diversa.
In casi particolari, modelli e calchi possono riguardare parti molli, quindi è possibile trovare anche impronte di felci, di foglie, di pinne di pesci, membrane alari.

Tracce fossili
Impronta fossile di Chirotherium, un archeosauro del Triassico inferiore
Le tracce di animali, che si producono prevalentemente nel fango o nelle sabbie dei terreni alluvionali o nelle regioni dei delta, possono essere state conservate dal processo di consolidamento dei sedimenti (diagenesi).
Nelle rocce sedimentarie, soprattutto quelle a grana più fine (come argilliti e calcari fini), sono state trovate orme di dinosauri, altri rettili e anfibi, scie e piste di antichi vermi limivori e molte altre tracce lasciate da esseri esistiti in passato. In taluni giacimenti fossiliferi è anche possibile rinvenire particolari fossili quali uova, raramente contenenti embrioni e le cosiddette bromaliti cioè coproliti, cololiti (resti non evacuati del contenuto intestinale), gastroliti e regurgitaliti (vomiti fossili).

Fossili guida
La grande maggioranza dei fossili si trova nei sedimenti, cioè nei depositi trasportati dall'acqua. Le rocce sedimentarie sono formate a strati. Questi strati di roccia, ed i fossili in essi contenuti, possono essere utilizzati per ricostruire la storia della Terra e degli organismi che si sono succeduti nel corso dei millenni. I geologi sanno che i vari strati rocciosi si sono formati in periodi diversi. Naturalmente, lo strato più antico e sottostante si è formato per primo ed il più recente e sovrastante per ultimo, mentre gli altri si sono formati nei periodi intermedi; ma questa disposizione può essere modificata e perfino rovesciata da successivi movimenti tellurici.
Studiando i fossili che si trovano nei vari strati, si possono osservare questi movimenti tellurici. Alcuni fossili sono presenti in più strati, mentre altri sono presenti solo in strati formati in un dato periodo della storia della Terra. Quando un geologo trova uno strato di roccia contenente dei fossili, può precisare non solo di che strato si tratta, ma anche quando, pressappoco, si è formato.
I fossili sono di aiuto ai geologi nella divisione della storia della Terra in periodi di tempo e lo sono tanto meglio quanto più breve e definito è stato il periodo della loro esistenza. Questi fossili sono detti fossili guida, perché aiutano a riconoscere l'era, il periodo o l'epoca a cui appartengono le rocce che li contengono e a collegare cronologicamente gli strati di territori e perfino di continenti diversi.
I fossili guida sono di aiuto nella ricerca del petrolio, perché il geologo sa che molti depositi di petrolio sono stati ritrovati in rocce di una particolare epoca.

Fossili come indicatori ambientali

rane fossile, indicatrice di ambiente palustre
I resti fossili non ci danno solo l'idea di quali siano stati gli animali e le piante del passato, ma ci indicano anche in quale ambiente e clima siano vissuti.
I grossi mammut ed i rinoceronti vellosi vissero in un ambiente di steppe e in un clima artico. Le felci attuali crescono in località calde ed umide, quelle fossili vissero probabilmente in un periodo di clima caldo ed in località umide, paludose.
I coralli si trovano oggi in acque basse, calde e salate. È probabile che anche i coralli fossili siano vissuti in località simili.
Nelle rocce sedimentarie, si trovano spesso impronte fossili di gocce di pioggia, di rigagnoli d'acqua e di fango. Ciò mostra quali siano state le vicende meteorologiche in quei tempi lontani.

Piante fossili
Stando ai reperti fossili, le prime piante sulla Terra furono le alghe azzurre, che risalgono all'era arcaica (più di mezzo miliardo di anni fa), ma esse probabilmente furono precedute da organismi più semplici, come i batteri. Le alghe azzurre furono seguite da quelle verdi, rosse e brune di cui i primi fossili sono del periodo, siluriano.
Verso la fine di questo periodo, circa trecentocinquanta milioni di anni fa, comparvero le prime piante vascolari del gruppo dei licopodi. Poi vennero, nel periodo carbonifero, circa duecentocinquanta milioni di anni fa, le felci giganti, i resti delle quali si trovano oggi nei giacimenti di carbone.
Già prima però, nel Devoniano superiore, circa trecento milioni di anni fa, erano apparse le prime piante da seme che sono oggi le principali forme di vita vegetale sulla Terra.

Animali fossili
libellula fossile
I geologi hanno prove dell'esistenza, cinquecento milioni di anni fa, all'inizio dell'era paleozoica, di molti animali simili a quelli che vivono oggi. Crostacei simili alle aragoste sono già conosciuti da quei lontani tempi. Tra i fossili di allora, comunissimi sono i trilobiti. Inoltre, sono state rinvenute molte centinaia di specie di conchiglie marine, e gusci coloniali appartenenti a minuscoli animali, detti briozoi.
Gli studiosi tra l'altro hanno rinvenuto oltre diecimila diversi insetti ora non più esistenti. Fra questi, alcuni vissero duecentocinquanta milioni di anni fa. Fra i primi insetti apparsi sulla Terra, negli ultimi periodi del Paleozoico si annoverano gli scarafaggi e le libellule; più tardi, nell'era mesozoica, si sviluppano i Coleotteri e i Ditteri, ma solo nell'era cenozoica compaiono api, formiche, farfalle e specie simili alle attuali.
Alcune specie fossili si sono mantenute quasi inalterate nel corso di milioni di anni. I primi animali provvisti di spina dorsale furono i pesci senza mascelle (agnati), in verità più affini alle lamprede (Ciclostomi) che a veri pesci. Essi comparvero nel Siluriano superiore, circa trecentocinquanta milioni di anni fa, avevano la pelle corazzata e sono stati chiamati Ostracodermi.
Circa cinquanta milioni d'anni dopo, nel Devoniano, comparvero i primi veri pesci, con mascelle. Anche questi erano ricoperti da una specie di corazza anziché di squame e sono stati chiamati Placodermi.
Seguirono, alla fine del Devoniano, gli anfibi, capaci di vivere tanto in acqua quanto sulla terra. Questi animali costituivano durante il Paleozoico la parte preponderante del regno animale, ma furono presto sopraffatti da grossi rettili, che, comparsi con forme primitive alla fine del periodo carbonifero, assunsero enorme sviluppo durante tutta l'era mesozoica.
I mammiferi comparvero duecento milioni di anni fa al principio del Mesozoico, ma rimasero piccoli e trascurabili per tutta quell'era e si svilupparono solo nell'era seguente, Cenozoico, mentre i rettili declinavano. Molti mammiferi attuali hanno progenitori fossili. Sono stati rinvenuti, infatti, scheletri fossilizzati di antichi cammelli, elefanti e cavalli. Durante gli ultimi sessanta milioni di anni, i mammiferi ebbero il sopravvento sugli altri animali e dominarono il mondo.
Si sono rinvenuti anche fossili dei primi uomini. Alcuni sono talmente primitivi che sono stati detti "preominidi": tali sono gli Australopitechi trovati nel Sudafrica tra la fine del Cenozoico e il principio del Quaternario. Ominidi primitivi sono considerati il Pitecantropo di Giava e il Sinantropo di Pechino. Più recenti e nettamente umani sono l'uomo di Cromagnon e quello di Neanderthal. Alcuni fossili umani non sembra appartengano alla stessa linea evolutiva alla quale appartiene l'uomo attuale.



Preso da http://wikipedia.it/

venerdì 22 febbraio 2008

LATIMERIA





Caratteristiche

Il calco di celacanto conservato al Museo civico di storia naturale di Milano
Il celacanto fa parte della classe dei Sarcopterigi; ha le pinne pettorali e anali su protuberanze carnose sostenute da ossa; la pinna caudale è suddivisa in tre lobi, dei quali quello di centro include un prolungamento del notocordo.
Secondo i fossili ritrovati, il celacanto è apparso per la prima volta nel medio Devoniano, circa 390 milioni di anni fa. Esso viveva nelle acque del tardo Paleozoico e del Mesozoico.
In media un celacanto raggiunge gli 80 Kg, una lunghezza di due metri e una aspettativa di vita di 60 anni circa.
Il celacanto è l'unico essere vivente che possegga un giunto intercraniale che gli permetta di separare internamente la metà superiore del cranio da quella inferiore: si presume che l'abilità sia legata al consumo di prede di grandi dimensioni. Le sue squame secernono muco e il suo corpo trasuda un olio che, essendo lassativo, lo rende immangiabile a meno che non venga disseccato e salato. La durezza delle loro squame fa sì che esse siano usate dagli abitanti delle Comore come carta vetrata.
Gli occhi del celacanto sono estremamente sensibili alla luce, grazie alla presenza del tapetum lucidum, una membrana riflettente posta dietro alla retina che riflette nuovamente la luce catturata alla retina; per questo motivo è molto difficile catturare un celacanto di giorno o in una notte di luna piena.


I fossili

Latimeria chalumnae
Sebbene oggi siano conosciute solo due specie di celacanti, nel Paleozoico e nel Mesozoico il gruppo dei celacantidi era molto numeroso e comprendeva diversi generi e specie. Esistono molti fossili databili dal Devoniano al Cretaceo, periodo in cui i celacanti apparentemente si estinsero, dato che non esistono fossili risalenti ad epoche successive.
Non è corretto affermare che i celacanti non abbiano subito evoluzioni per milioni di anni, dato che le specie attualmente viventi non corrispondono ai fossili ritrovati, anche se i fossili del genere Macropoma del Cretaceo, fra i reperti ritrovati quelli che risalgono al periodo più recente, sono quelli che si avvicinano di più al celacanto "moderno".
Le scoperte

Il Celacanto e la sua scopritrice, Marjorie Courtenay-Latimer

La prima prova dell'esistenza di celacanti viventi si ebbe nel 1938 quando Marjorie Courtenay-Latimer, curatrice di un museo di East London, Sudafrica, nell'esaminare il bottino di pescatori locali alla ricerca di fauna marina insolita, si imbatté in uno strano pesce blu fra il pescato di una barca di pescatori andati a caccia di squali presso il fiume Chalumna. Dopo aver riportato il pesce al museo, si accorse che non era in grado di classificarlo e così decise di chiedere informazioni al collega professor James Leonard Brierley Smith; nel frattempo il pesce fu imbalsamato da un tassidermista e quando Smith ne vide le spoglie lo identificò come un celacanto, una specie nota solo dai fossili. La specie del pesce fu chiamata Latimeria chalumnae, in onore della scopritrice e delle acque in cui fu pescato, e da allora il celacanto fu considerato un fossile vivente.

Le Comore

A quel punto fu organizzata una ricerca mondiale per nuovi esemplari di celacanto, con un premio in denaro di 100 sterline, una somma decisamente ragguardevole per i pescatori africani dell'epoca. Quattordici anni dopo fu trovato un esemplare alle Comore: si pensava che fosse un altro ritrovamento unico, ma si scoprì che il pesce era noto agli abitanti delle Comore: i pescatori dell'isola di Anjouan non riuscivano infatti a capire perché fosse valutato tanto un pesce immangiabile come quello, da loro chiamato gombessa o mame, che ogni tanto finiva nelle loro reti per sbaglio. Oggi tuttavia sono ben consci dell'importanza della scoperta e del fatto che si tratti di una specie in pericolo e, ogniqualvolta un celacanto viene pescato, subito viene ributtato in mare.
Il secondo esemplare, pescato nel 1952 dal pescatore Ahmed Hussain, fu inizialmente catalogato come una specie del tutto diversa, Malania anjounae (nome derivato da Daniel François Malan, primo ministro del Sudafrica ai tempi, e dall'isola di Anjouan), ma in seguito si scoprì che la mancanza della pinna dorsale era dovuta soltanto a un incidente avvenuto in giovane età all'esemplare. Ironicamente, Malan era un creazionista, e dopo aver scoperto che il supposto antenato di tutte le forme di vita terrestri era stato battezzato col suo nome, ebbe una reazione di insofferenza e disgusto.

La seconda specie

Nel 1997, Arnaz e Mark Erdmann stavano godendosi la loro luna di miele in Indonesia quando, al mercato di Manado Tua sull'isola di Sulawesi, si accorsero della presenza sulle bancarelle di quello che sembrava un gombessa, ma era marrone anziché blu. Dopo che un esperto ebbe notato la foto del pesce da loro pubblicata su internet, si procedette ai test del DNA, che dimostrarono che quella specie, chiamata dagli indonesiani Rajah laut (re del mare), non era collegata al celacanto delle Comore. Da allora la nuova specie fu chiamata Latimeria menadoensis.
L'area marina protetta di St. Lucia in Sudafrica [modifica]
Il 28 ottobre 2000, nelle acque protette dell'area di St. Lucia, al confine con il Mozambico, i tre sommozzatori Pieter Venter, Peter Timm, e Etienne le Roux trovarono un celacanto alla profondità di 104 metri. Dopo essersi autorinominati "SA Coelacanth Expedition 2000", il gruppo ritornò alla carica, questa volta dotato di equipaggiamento fotografico e altri sommozzatori pronti a seguirli. Il 27 novembre quattro di essi (Pieter Venter, Gilbert Gunn, Christo Serfontein e Dennis Harding) trovarono 3 celacanti, dei quali uno era lungo tra 1,5 e 1,8 metri, mentre gli altri misuravano circa 1/1,2 metri. I subacquei riuscirono a fotografare e filmare gli animali, ma purtroppo una volta riemersi Dennis Harding morì a causa di un'embolia cerebrale nello sforzo di aiutare Christo Serfontein che aveva momentaneamente perso conoscenza.
Fra il marzo e l'aprile del 2002, il sommergibile Jago e il gruppo di sommozzatori Fricke Dive Team riuscirono a trovare nella stessa zona un gruppo di 15 celacanti, di cui una femmina incinta, riuscendo anche a raccogliere campioni di tessuto degli animali.

mercoledì 20 febbraio 2008

Origine della VITA

Origine della vita
Il modo con cui si è formata la vita sul nostro pianeta rappresenta un problema ancora non completamente chiarito, anche se da più di un secolo sono state formulate ipotesi e si sono moltiplicati gli esperimenti, volti a verificare l'una o l'altra congettura.
La vita si è sviluppata rapidamente sul nostro pianeta: resti di stromatoliti fossili risalgono a 3.55 miliardi di anni, tracce di Archibatteri sembrano databili a 3, 8 miliardi di anni e depositi di Carbonio arricchiti di carbonio-12, indizio di attività biologica, sono forse più antichi. Dal momento che la terra, nel primo mezzo miliardo dalla sua formazione, doveva essere inospitale, il tempo che la vita ha avuto a disposizione per formarsi è estremamente limitato, tanto che molti scienziati hanno formulato l'ipotesi che essa si sia formata in altre regioni dello spazio e poi sia giunta nel nostro pianeta, anche perché su molti corpi celesti sono stati trovati composti organici; la formazione spontanea di molecole organiche è una possibilità ampiamente verificata sia nelle più diverse condizioni sperimentali che su materiali provenienti da altri pianeti o dallo spazio.
Per molti anni gli studiosi si sono divisi fra chi sosteneva che erano sorte per prima strutture in grado di autoreplicarsi e chi, invece, propendeva per l'iniziale nascita del metabolismo, molti oggi pensano che vi sia stata la nascita pressoché contemporanea di un metabolismo e di entità autoreplicanti.
Un problema da risolvere è quello relativo al reperimento di fonti energetiche stabili e di catalizzatori affidabili che consentissero la formazione di polimeri specifici con legami simili a quelli presenti attualmente e una possibile soluzione può essere offerta dall'ipotesi di una "pizza primordiale". Il sorgere della vita, secondo molti scienziati, è stato un evento ineluttabile, iscritto nella stessa materia e lo stesso ordine presente nei viventi sarebbe un fenomeno spontaneo.
Come si vede i problemi ancora aperti sono numerosi, malgrado il tema sia stato a lungo dibattuto, a partire dal primo accenno fattone da Darwin e le prime ipotesi degli inizi del Novecento di Oparin ed Haldane. Nei laboratori di Urey nacque la chimica abiotica, che cancellò l'idea che la chimica dei viventi fosse una chimica in qualche modo particolare. Da allora, molte molecole organiche sono state ottenute in laboratorio in diverse condizioni sperimentali e materiale organico è stato trovato negli spazi siderali e in ambienti in cui la vita sembrava impossibile, come quelli in prossimità delle bocche idrotermali presenti nelle profondità oceaniche.

Letteratura ed altre storie
Tra i problemi che ogni insegnante di scienze naturali ha davanti quotidianamente nel suo lavoro, due presentano un particolare rilievo: l’uno riguarda le forme e i modi dell’assimilazione da parte degli studenti delle conoscenze scientifiche che consentono di interpretare la realtà naturale; l’altro concerne la storicità che, accompagnando la formulazione dei paradigmi scientifici, invita a leggere lo sviluppo della scienza nel contesto della cultura di un’epoca e di una società.
Pensare di risolvere il primo problema integrando il manuale con l’uso anche sistematico del laboratorio sarebbe riduttivo e porterebbe gli studenti ad assimilare il lavoro scientifico ad una metodologia ingenuamente “verificazionista” e “induttivista”, da tacchino di Russell; d’altra parte, affrontare il secondo problema risolvendo la scienza nella cultura storica e quasi sommergendola in un generico “storicismo”, impedirebbe agli studenti di cogliere la specificità della conoscenza scientifica e, nel caso della nostra disciplina, di evidenziare la peculiarità delle questioni teoriche e metodologiche ad essa connesse.
Come fare dunque per promuovere un apprendimento consapevole e motivato, che permetta di evitare i pericoli così dell’induttivismo ingenuo come di una cultura alla melting pot? Come fare per risvegliare l’attenzione per la disciplina e sostenere l’interesse per continuare a coltivarla? Come fare a precisare il contesto culturale in cui una teoria si è sviluppata?
Per affrontare questi interrogativi senza semplificare, può essere utile prendere in considerazione, oltre ai mezzi tradizionali- manuale + laboratorio- l’opportunità di ricorrere a strumenti diversificati di “navigazione”, attraverso i quali compiere esplorazioni in territori altri -figurativi, letterari, artistici-, ma dai quali “ si ritorna” alla disciplina quasi “riscoprendola” in termini di avvertita problematicità, e di maggiore consapevolezza circa il significato delle leggi e delle teorie apprese: incursioni e itinerari in altri contesti, che possiedono registri e linguaggi diversi da quelli propri del metodo e dei termini scientifici, ma che possono risvegliare il pensiero, attivare l’interesse, sollecitare approfondimenti, suggerire prospettive di ricerca.
Né va tralasciata l’importanza di almeno due tra le ricadute didattiche non secondarie che questo tipo di lavoro può presentare:
la prima riguarda la maggiore vicinanza tra le discipline (si adopera volutamente questo termine, per evitare gli equivoci di una interdisciplinarietà che- pressoché sempre- sacrifica le specificità disciplinari);
la seconda è collegata alla formazione complessiva della personalità dello studente, perché gli itinerari sopra ricordati -quadri, racconti, romanzi, saggi- richiedono l’interazione tra l’ intelligenza, la fantasia, l’immaginazione, le emozioni
Relativamente al primo punto, nella scuola si fa ancora sentire la separazione delle culture, umanistica e scientifica e ogni docente lavora facendo appello a quelle conoscenze “enciclopediche” che gli studenti dovrebbero possedere: quando vengono lette, insieme ad insegnanti di materie umanistiche, pagine di Cartesio, Manzoni, o Darwin, ad esempio, si fa implicitamente riferimento a una presupposte informazioni “enciclopediche” posseduta dallo studente, ma non sempre queste informazioni esistono, o, quando ci sono, non vengono ripescate e messe in relazione con ciò di cui si parla nell'ambito di un'altra disciplina, tanto che lo stesso Darwin studiato a filosofia è altro rispetto a quello fatto a biologia; ancora, malgrado la letteratura del Novecento sia ricchissima di scrittori, la cui formazione iniziale è stata di tipo scientifico (basti citare Gadda, Musil, Primo Levi), la separazione fra le culture consente che difficilmente ci si spinga ad introdurre argomenti di chimica utilizzando ad esempio Il sistema periodico di Levi, o ad inserire Mitosi e Meiosi di Calvino, parlando di biologia; in questo modo, certi autori perdono larga parte del loro fascino, oppure, certi loro percorsi vengono completamente tralasciati nell'insegnamento umanistico perchè troppo difficili.
Relativamente al secondo punto, la teoria evoluzione, che rappresenta il quadro di riferimento essenziale ed indispensabile a qualunque argomento scientifico, si presta particolarmente bene al tipo di itinerari proposti in questa ipotesi di lavoro, anche perché proprio per la sua natura propone risposte, pur parziali e provvisorie, a domande esistenziali che gli adolescenti da sempre si sono posti (chi siamo, da dove veniamo ). È anche una teoria che molti studenti hanno difficoltà ad accettare, proprio perchè le loro preconoscenze li hanno convinti di tutt'altro, che cioè l'uomo non può essere paragonato a nessun animale, o che comunque esso è al vertice di quella ideale scala, che dal protozoo giunge alle stelle, insomma, come per Panglosso ... i nasi son stati fatti per portar gli occhiali, infatti ci sono gli occhiali. Le gambe sono evidentemente istituite per esser calzate, ed ecco che ci sono i calzoni. Le pietre sono state formate per essere squadrate, e per farne castelli...
Siamo di fronte alla convinzione incrollabile e consolatoria di uno sviluppo lineare e progressivo della vita, difficile da mettere in crisi e sostituire. Ritengo che al di là della conoscenza tecnica dei vari meccanismi che hanno determinato la micro e la macro evoluzione, sia importante mettere in evidenza, qualunque tema biologico venga affrontato, la "anima1ità" dell'uomo, la sua stretta dipendenza dagli altri organismi e, tutto sommato, la sua marginalità, pur mettendo in risalto che lo sviluppo della coscienza è stato l'avvenimento più sconvolgente della storia della vita sul nostro pianeta, se non altro perchè ne siamo direttamente coinvolti.
Questi sono i motivi per cui riterrei utile far leggere agli studenti libri di letteratura, affidati loro durante le vacanze estive e successivamente discussi in classe ad inizio dell'anno scolastico; è chiaro che sarebbe auspicabile svolgere questo lavoro con la collaborazione di altri docenti del corso, ma questo, in genere si è sempre rivelato solo un pio desiderio. La mia relazione verterà su alcuni esempi, alcuni pensati per studenti di scuola media o di biennio, altri adatti ad un triennio superiore.
Gli autori che verranno esaminati sono per la scuola dell'obbligo Frances Burnett e Jack London, mentre i percorsi suggeriti per il triennio riguardano Joseph Conrad, Samuel Butler, H. G. Wells ed Italo Calvino.
In questo contesto è doveroso citare almeno uno fra gli scienziati che si sono cimentati in racconti sull'uomo primitivo, Bjorn Kurten, con la sua splendida saga familiare di cui sono protagonisti i Cro Magnon e i Neanderthal.
Per quanto riguarda le incursioni in storia dell'arte è doveroso fare almeno un piccolo accenno ad Aby Warburg e all'influenza che su di lui ebbe il lavoro L 'espressione delle emozioni nell'uomo e negli altri animali di Charles Darwin.




Preso da Wikipedia

I Numeri PRIMI

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Phineas Gage


Phineas P. Gage (182321 maggio 1860) è stato un operaio capocantiere statunitense, addetto alla costruzione di ferrovie.


Una ricostruzione grafica delle lesioni subite da Phineas Gage
Gage ha sofferto di un fortissimo trauma cranico causato da un ferro di pigiatura che ha attraversato il suo cranio danneggiando irreparabilmente il lobo frontale del suo cervello. Si crede che questo fatto abbia causato un enorme cambiamento nella sua personalità emotiva e relazionale, trasfomandolo in una persona irosa ed asociale.
Le condizioni di Gage hanno apportato grandi cambiamenti nella comprensione clinica e scientifica delle funzioni e della localizzazione delle funzioni cerebrali nel cervello, soprattutto per quanto riguarda le emozioni e la personalità. È anche in seguito alle riflessioni teoriche avviate in conseguenza di questo caso che, per alcuni decenni della metà del XX secolo, sono stati usati metodi, oggi in totale disuso, come la lobotomia prefrontale per curare certi tipi di disturbi del comportamento.



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La CELLULA

Prendiamo una cellula provvista di nucleo, come sono quelle di tutti gli organismi pluricellulari (e di moltissimi organismi monocellulari, che cioè consistono di una cellula sola e sono microscopici, ma a parte le dimensioni sono organismi completi e complessi). Quando una cellula si divide, per prima cosa il suo DNA si duplica. Grazie all’intervento di alcuni enzimi, la doppia elica si apre, un po’ come fosse una cerniera lampo, e accanto a ciascuno dei filamenti originari si forma un nuovo filamento, esattamente complementare al filamento originario, per cui nel filamento nuovo troviamo un A dove nel filamento originario c’è un T, e viceversa, e troviamo un C dove nel filamento originario c’è un G, e viceversa. Alla fine di questo processo, le due doppie eliche risultanti sono composte entrambe da uno dei filamenti originari e da un filamento nuovo, e sono perfettamente identiche: ciascuna dispone della stessa informazione genetica.
Una volta che il DNA si è raddoppiato, ha inizio il processo di divisione cellulare. È un processo che si svolge senza interruzioni, ma per comodità di studio viene descritto di solito in quattro fasi. Per seguirlo senza difficoltà, prendiamo il caso di una cellula che contiene solo due coppie di cromosomi, quindi quattro cromosomi in tutto. Di questi, un membro di ciascuna coppia proviene dal padre e uno proviene dalla madre. Il numero dei cromosomi presente in una cellula è caratteristico della specie cui l’individuo appartiene ed è lo stesso in tutte le cellule del suo organismo (con l’eccezione delle cellule germinali, di cui parleremo più avanti). Nelle cellule di una drosofila, come abbiamo visto nel capitolo precedente, si trovano quattro coppie di cromosomi; nelle cellule di un essere umano se ne trovano 23 coppie, cioè 46 cromosomi in tutto.
I cromosomi non sono visibili abitualmente al microscopio. Il DNA è distribuito un po’ dappertutto nel nucleo della cellula, come una masserella informe di cromatina. Nella prima fase della divisione cellulare, detta profase, il DNA si avvolge strettamente e diviene visibile come cromosomi distinti, che hanno l’aspetto di bastoncelli. Nel frattempo inizia a dissolversi la membrana che separa il nucleo dal resto della cellula.
A questo punto i cromosomi si dispongono in una struttura allungata, detta fuso, ancorata a due piccole zone, dette centrìoli, situate ai poli opposti della cellula. Ogni cromosoma appare composto di due filamenti paralleli identici, i cromatidi, uniti in un punto centrale, il centròmero.
I cromatidi ora si separano l’uno dall’altro e per ultimo si divide il centromero. I due cromatidi migrano verso i poli opposti del fuso, portati dalle fibre del fuso stesso, cui sono attaccati i centromeri.
Nella fase finale, detta telofase, i due gruppi di cromosomi hanno raggiunto i poli opposti del fuso. Comincia a dividersi in due parti il liquido contenuto all’interno della membrana cellulare, il citoplasma, che racchiude tutti gli organelli che permettono il funzionamento della cellula. Intorno a ciascuno dei due gruppi di cromosomi si forma una nuova membrana nucleare e le due nuove cellule appena formate si allontanano fino a separarsi completamente.
L’intero processo prende il nome di mitòsi: a partire da una cellula si ottengono due cellule uguali alla cellula madre. Il DNA della cellula madre prima si raddoppia, poi si ripartisce con precisione fra le due cellule figlie. Le cellule del nostro corpo si riproducono così, permettendoci di crescere fino all’età adulta e poi di continuare a rinnovare le cellule dei nostri tessuti che ne hanno bisogno (alcuni tessuti, come quello del sistema nervoso, hanno poca o nulla riproduzione dopo la crescita). Tutti gli organismi unicellulari si riproducono così, dai più semplici ai più complessi, come anche una gran parte delle piante e alcuni dei più semplici animali. Si parla di riproduzione vegetativa, o asessuata.

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BOTTE DI PASCAL

Esperimento della BOTTE DI PASCAL


Introduzione: lo scienziato Pascal immaginò un esperimento in cui si
possono dimostrare gli effetti paradossali della pressione.



In questo esperimento vogliamo riprodurre i risultati previsti da Pascal:


Si riempe un contenitore di acqua fino all'orlo e si sigilla in modo che l'acqua non possa uscire in nessun modo. Pratichiamo un buco largo tanto che ci possa entrare un tubo (nel nostro caso una cannuccia di circa 2 metri) dove depositare con un contagocce un pò di acqua.

Materiali: - Bicchiere di plastica (sostituisce la botte)
- Carta stagnola (usata come coperchio)
- Acqua (o qualsiasi altro liquido)
- Pongo, plastilina, scotch, elastici, cannucce, contagoccie


Metodi: Abbiamo riempito un bicchiere di acqua fino all'orlo e lo abbiamo sigillato con due strati di carta stagnola e scotch. Dopo aver praticato un foro per inserire una lunga cannuccia di 2 metri circa abbiamo inserito dall'altezza delle cannuccie un pò di acqua con il contagoccie. Ora il bicchiere dovrebbe esplodere.

Conclusione: L'esperimento non è riuscito.

Ipotesi: Dalla giunzione delle cannuccie usciva un pò di acqua, anche dalla carta stagnola che ricopriva il bicchiere, non ha resistito alla quantità d'acqua. Il buco era troppo largo.


Riconoscimenti: A questo esperimento ha partecipato la classe 1 media C dell'Istituto Massimiliano Massimo. Il professore Bersani ha aiutato nel inserire le gocce e nel resto del lavoro.


© Copyright Primaccì

Esperimento del fagiolo

Esperimento del FAGIOLO

Introduzione: Con del semplice materiale voglio dimostrare come far crescere una piantina biologica nell'arco di un mese.

In questo esperimento voglio riprodurre i risultati da me previsti:

Si mette del cotone imbevuto con un pò di acqua in un bicchiere e si mettono delle lenticchie o dei fagioli, in modo che crescano.
Per tenere al caldo i fagioli (o le lenticchie) si mette un altro strato di cotone. Nell'arco di un mese o meno dovrebbe crescere una piantina biologica.

Materiali:
· Bicchiere
· Cotone
· Lenticchie, Fagioli


Metodi: Ho riempito un bicchiere con pezzi di cotone per circa due dita e vi ho un pò d'acqua. Dopo aver messo una manciata di lenticchie con molta cura ho messo altri pezzettini di cotone per tenere la piantina al caldo, e ho messo un altro pò di acqua. Dopo poche settimane (2, massimo 3) la piantina è pronta, e l'esperimento è riuscito.

Conclusione: L'esperimento è riuscito.

Dopo pochi giorni si sono iniziate a vedere le prime radici e dopo una settimana il cotone era da levare perchè la pianta lo stava buttando fuori oggi martedì 18/12/07 ho trasferito la pianta in un vasetto di terra poichè l'esperimento era ormai finito.

Riconoscimenti: In questo esperimento mi ha aiutato mia madre che spostava la piantina la mattina verso la luce del sole per farle avere luce, e Salvo, che mi ha consigliato di spostarla nel vasetto una volta concluso l'esperimento.

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Chi siamo?

Io e la mia classe Primaccì della scuola Massimiliano Massimo abbimo creato un forum dove mettere tutti i nostri file di scienze con l'aiuto del prof Bers***. La maggior parte dei post sono presi da siti come wikipedia e scriveremo sotto a ogni post da dove è stato preso. Li abbiamo copiati e incollati qua solo per avere un punto di riferimento che con un "clic " andare ogni volta a visitare.



Federico