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mercoledì 20 febbraio 2008

Origine della VITA

Origine della vita
Il modo con cui si è formata la vita sul nostro pianeta rappresenta un problema ancora non completamente chiarito, anche se da più di un secolo sono state formulate ipotesi e si sono moltiplicati gli esperimenti, volti a verificare l'una o l'altra congettura.
La vita si è sviluppata rapidamente sul nostro pianeta: resti di stromatoliti fossili risalgono a 3.55 miliardi di anni, tracce di Archibatteri sembrano databili a 3, 8 miliardi di anni e depositi di Carbonio arricchiti di carbonio-12, indizio di attività biologica, sono forse più antichi. Dal momento che la terra, nel primo mezzo miliardo dalla sua formazione, doveva essere inospitale, il tempo che la vita ha avuto a disposizione per formarsi è estremamente limitato, tanto che molti scienziati hanno formulato l'ipotesi che essa si sia formata in altre regioni dello spazio e poi sia giunta nel nostro pianeta, anche perché su molti corpi celesti sono stati trovati composti organici; la formazione spontanea di molecole organiche è una possibilità ampiamente verificata sia nelle più diverse condizioni sperimentali che su materiali provenienti da altri pianeti o dallo spazio.
Per molti anni gli studiosi si sono divisi fra chi sosteneva che erano sorte per prima strutture in grado di autoreplicarsi e chi, invece, propendeva per l'iniziale nascita del metabolismo, molti oggi pensano che vi sia stata la nascita pressoché contemporanea di un metabolismo e di entità autoreplicanti.
Un problema da risolvere è quello relativo al reperimento di fonti energetiche stabili e di catalizzatori affidabili che consentissero la formazione di polimeri specifici con legami simili a quelli presenti attualmente e una possibile soluzione può essere offerta dall'ipotesi di una "pizza primordiale". Il sorgere della vita, secondo molti scienziati, è stato un evento ineluttabile, iscritto nella stessa materia e lo stesso ordine presente nei viventi sarebbe un fenomeno spontaneo.
Come si vede i problemi ancora aperti sono numerosi, malgrado il tema sia stato a lungo dibattuto, a partire dal primo accenno fattone da Darwin e le prime ipotesi degli inizi del Novecento di Oparin ed Haldane. Nei laboratori di Urey nacque la chimica abiotica, che cancellò l'idea che la chimica dei viventi fosse una chimica in qualche modo particolare. Da allora, molte molecole organiche sono state ottenute in laboratorio in diverse condizioni sperimentali e materiale organico è stato trovato negli spazi siderali e in ambienti in cui la vita sembrava impossibile, come quelli in prossimità delle bocche idrotermali presenti nelle profondità oceaniche.

Letteratura ed altre storie
Tra i problemi che ogni insegnante di scienze naturali ha davanti quotidianamente nel suo lavoro, due presentano un particolare rilievo: l’uno riguarda le forme e i modi dell’assimilazione da parte degli studenti delle conoscenze scientifiche che consentono di interpretare la realtà naturale; l’altro concerne la storicità che, accompagnando la formulazione dei paradigmi scientifici, invita a leggere lo sviluppo della scienza nel contesto della cultura di un’epoca e di una società.
Pensare di risolvere il primo problema integrando il manuale con l’uso anche sistematico del laboratorio sarebbe riduttivo e porterebbe gli studenti ad assimilare il lavoro scientifico ad una metodologia ingenuamente “verificazionista” e “induttivista”, da tacchino di Russell; d’altra parte, affrontare il secondo problema risolvendo la scienza nella cultura storica e quasi sommergendola in un generico “storicismo”, impedirebbe agli studenti di cogliere la specificità della conoscenza scientifica e, nel caso della nostra disciplina, di evidenziare la peculiarità delle questioni teoriche e metodologiche ad essa connesse.
Come fare dunque per promuovere un apprendimento consapevole e motivato, che permetta di evitare i pericoli così dell’induttivismo ingenuo come di una cultura alla melting pot? Come fare per risvegliare l’attenzione per la disciplina e sostenere l’interesse per continuare a coltivarla? Come fare a precisare il contesto culturale in cui una teoria si è sviluppata?
Per affrontare questi interrogativi senza semplificare, può essere utile prendere in considerazione, oltre ai mezzi tradizionali- manuale + laboratorio- l’opportunità di ricorrere a strumenti diversificati di “navigazione”, attraverso i quali compiere esplorazioni in territori altri -figurativi, letterari, artistici-, ma dai quali “ si ritorna” alla disciplina quasi “riscoprendola” in termini di avvertita problematicità, e di maggiore consapevolezza circa il significato delle leggi e delle teorie apprese: incursioni e itinerari in altri contesti, che possiedono registri e linguaggi diversi da quelli propri del metodo e dei termini scientifici, ma che possono risvegliare il pensiero, attivare l’interesse, sollecitare approfondimenti, suggerire prospettive di ricerca.
Né va tralasciata l’importanza di almeno due tra le ricadute didattiche non secondarie che questo tipo di lavoro può presentare:
la prima riguarda la maggiore vicinanza tra le discipline (si adopera volutamente questo termine, per evitare gli equivoci di una interdisciplinarietà che- pressoché sempre- sacrifica le specificità disciplinari);
la seconda è collegata alla formazione complessiva della personalità dello studente, perché gli itinerari sopra ricordati -quadri, racconti, romanzi, saggi- richiedono l’interazione tra l’ intelligenza, la fantasia, l’immaginazione, le emozioni
Relativamente al primo punto, nella scuola si fa ancora sentire la separazione delle culture, umanistica e scientifica e ogni docente lavora facendo appello a quelle conoscenze “enciclopediche” che gli studenti dovrebbero possedere: quando vengono lette, insieme ad insegnanti di materie umanistiche, pagine di Cartesio, Manzoni, o Darwin, ad esempio, si fa implicitamente riferimento a una presupposte informazioni “enciclopediche” posseduta dallo studente, ma non sempre queste informazioni esistono, o, quando ci sono, non vengono ripescate e messe in relazione con ciò di cui si parla nell'ambito di un'altra disciplina, tanto che lo stesso Darwin studiato a filosofia è altro rispetto a quello fatto a biologia; ancora, malgrado la letteratura del Novecento sia ricchissima di scrittori, la cui formazione iniziale è stata di tipo scientifico (basti citare Gadda, Musil, Primo Levi), la separazione fra le culture consente che difficilmente ci si spinga ad introdurre argomenti di chimica utilizzando ad esempio Il sistema periodico di Levi, o ad inserire Mitosi e Meiosi di Calvino, parlando di biologia; in questo modo, certi autori perdono larga parte del loro fascino, oppure, certi loro percorsi vengono completamente tralasciati nell'insegnamento umanistico perchè troppo difficili.
Relativamente al secondo punto, la teoria evoluzione, che rappresenta il quadro di riferimento essenziale ed indispensabile a qualunque argomento scientifico, si presta particolarmente bene al tipo di itinerari proposti in questa ipotesi di lavoro, anche perché proprio per la sua natura propone risposte, pur parziali e provvisorie, a domande esistenziali che gli adolescenti da sempre si sono posti (chi siamo, da dove veniamo ). È anche una teoria che molti studenti hanno difficoltà ad accettare, proprio perchè le loro preconoscenze li hanno convinti di tutt'altro, che cioè l'uomo non può essere paragonato a nessun animale, o che comunque esso è al vertice di quella ideale scala, che dal protozoo giunge alle stelle, insomma, come per Panglosso ... i nasi son stati fatti per portar gli occhiali, infatti ci sono gli occhiali. Le gambe sono evidentemente istituite per esser calzate, ed ecco che ci sono i calzoni. Le pietre sono state formate per essere squadrate, e per farne castelli...
Siamo di fronte alla convinzione incrollabile e consolatoria di uno sviluppo lineare e progressivo della vita, difficile da mettere in crisi e sostituire. Ritengo che al di là della conoscenza tecnica dei vari meccanismi che hanno determinato la micro e la macro evoluzione, sia importante mettere in evidenza, qualunque tema biologico venga affrontato, la "anima1ità" dell'uomo, la sua stretta dipendenza dagli altri organismi e, tutto sommato, la sua marginalità, pur mettendo in risalto che lo sviluppo della coscienza è stato l'avvenimento più sconvolgente della storia della vita sul nostro pianeta, se non altro perchè ne siamo direttamente coinvolti.
Questi sono i motivi per cui riterrei utile far leggere agli studenti libri di letteratura, affidati loro durante le vacanze estive e successivamente discussi in classe ad inizio dell'anno scolastico; è chiaro che sarebbe auspicabile svolgere questo lavoro con la collaborazione di altri docenti del corso, ma questo, in genere si è sempre rivelato solo un pio desiderio. La mia relazione verterà su alcuni esempi, alcuni pensati per studenti di scuola media o di biennio, altri adatti ad un triennio superiore.
Gli autori che verranno esaminati sono per la scuola dell'obbligo Frances Burnett e Jack London, mentre i percorsi suggeriti per il triennio riguardano Joseph Conrad, Samuel Butler, H. G. Wells ed Italo Calvino.
In questo contesto è doveroso citare almeno uno fra gli scienziati che si sono cimentati in racconti sull'uomo primitivo, Bjorn Kurten, con la sua splendida saga familiare di cui sono protagonisti i Cro Magnon e i Neanderthal.
Per quanto riguarda le incursioni in storia dell'arte è doveroso fare almeno un piccolo accenno ad Aby Warburg e all'influenza che su di lui ebbe il lavoro L 'espressione delle emozioni nell'uomo e negli altri animali di Charles Darwin.




Preso da Wikipedia

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